Hippolyte Bayard intervista a “chi ha inventato la fotografia”. Fabio Severo ci parla del suo blog

delande

http://jcdelalande.com

Intervista a  cura di gioiap.

 

1. “Questo che vedete è il cadavere di M. Bayard

Così scrive Bayard , inventore della stampa positiva diretta, allegando la didascalia a un suo autoritratto da annegato.

 

 

Hai scelto gli albori della fotografia per parlare di fotografia.

Ma Chi c’è dietro l’avatar di Bayard?

 

Intendi me? Mi chiamo Fabio Severo, e la fotografia per lungo tempo è stata per me una semplice passione, un tipo di immagine che mi attraeva naturalmente. Col tempo è diventata parte della mia vita professionale, ma tuttora oscilla tra un semplice amore e un lavoro, prendendo forme diverse: scrivo di fotografia, insegno fotografia, realizzo progetti fotografici.

 

2. Come e perché nasce questo tuo spazio?

 

Appunto, nasce come la prima forma di collaborazione che abbiamo sviluppato io e Alessandro Imbriaco, un fotografo dell’agenzia Contrasto con cui  ho iniziato il blog e che nella fase iniziale ha scritto insieme a me, eravamo i due coautori del blog e avevamo carta bianca l’uno rispetto all’altro. Con Alessandro ho anche realizzato diversi lavori fotografici nell’ultimo anno e mezzo.

 

 

3.

”Hippolyte Bayard” è un luogo bianco, minimale, dove presenti di volta in volta spicchi del lavoro di fotografi contemporanei e finestre su alcuni dei capisaldi del medium. Come “funziona” il tuo lavoro di ricerca?

 

Molto semplicemente è un lavoro che si svolge direi a cerchi concentrici, nel senso che ci sono alcune basi informative costanti (newsletter di gallerie, riviste, bookshop, fondazioni, etc) che poi mi portano a cercare in altre direzioni, si formano dei nessi, dei collegamenti e nasce la voglia di scrivere su qualcosa. Un’altra risorsa, che peraltro fa molto piacere ricevere, viene dai vari fotografi che personalmente mi scrivono per segnalare il loro lavoro o per scambiare alcune impressioni.

 

 

4.

Nel corso dei mesi moltissimi sono stati i nomi e i lavori che hai presentato, ne cito due che ora mi balzano agli occhi e che mi hanno colpito:

JEAN CLAUDE DELALANDE e tra i recentissimi Robin Schwartz.

 

Sono due esempi di fotografia estremamente inscenata, per nulla estemporanea e che usa la figura umana per dire molto di più del semplice ritratto della persona. È un po’ una caratteristica ‘trasversale’ di tutti i lavori che apprezzo e su cui mi ritrovo a scrivere, questa sensazione di essere immagini ‘create’, cercata e lavorate, non delle immagini semplicemente ‘accadute’ e registrate.

 

 

5. Quali sono i fotografi che da sempre  ti “tormentano” e quali quelli che tramite la rete hai imparato a conoscere?

 

Hiroshi Sugimoto, Sally Mann, Arno Rafael Minkkinen, Joel Sternfeld sono alcuni tra gli autori degli ultimi venti anni che più mi hanno colpito e su cui più ritorno. Autori di grandissimo livello che ho scoperto tramite la rete sono ad esempio Edgar Martins, Chen Jiagang, Yang Yi, Matthew Pillsbury, per fare qualche esempio e per rimanere su degli stili fotografici che semplicemente sento più vicini. Ma ce ne sarebbero tanti altri, in direzioni di ricerca molto differenti.

 

 

 

6.

Lo “scontro” tra analogico e digitale in fotografia. Ci si domanda a livello critico-teorico quale sia l’impatto di questa innovazione tecnologica a livello comunicativo e a livello creativo.

Cosa pensi a riguardo, e quale posto ricopre la parola “sperimentazione”?

 

Per il modo in cui porto avanti il blog, l’unica cosa che mi interessa è il risultato a cui le tecniche giungono, mentre spesso un simile dibattito tende più a attribuire un significato intrinseco al mezzo in sé. Che poi a livello comunicativo le nuove (smetteremo mai di chiamarle ‘nuove’?) tecnologie offrano modalità di diffusione e di produzione di contenuti questo è certo ed è anche piuttosto interessante, basti pensare a tutte le riviste fotografiche on line che stanno nascendo in questi ultimi anni, oppure alle varie gallerie ‘virtuali’ che stanno venendo fuori. Da un punto di vista strettamente fotografico invece continuo a pensare che quello che conta è l’esito a cui portano queste tecnologie, l’opera che viene prodotta con esse, il linguaggio visivo che ne nasce. Il discorso metalinguistico sulla fotografia e i suoi apparati è una cosa che si può portare avanti all’infinito, se però vogliamo provare semplicemente a considerare la validità delle opere d’arte visiva che vengono prodotte con questi mezzi, allora siamo in un territorio dove i nostri occhi dovrebbero essere padroni, come sempre è stato. Stesso discorso vale per la sperimentazione: poiché la parola storicamente ha assunto un significato preciso, dato dalla consuetudine a pensarla come il momento dove si mettono alla prova i linguaggi e si scardinano le convenzioni, allora siamo abituati a pensare che qualcosa di ‘sperimentale’ sia sempre connotato da provocazione, incroci linguistici azzardati, caos creativo. Per questo penso che la parola sperimentazione possa facilmente essere fuorviante, preferisco usare la parola ‘ricerca’.

 

 

 

7. Hippolyte cosa vuoi vedere in una fotografia?

 

Un lavoro creativo, la sensazione bella dell’opera di un altro essere umano. Sempre più interessante della semplice fotografia ‘di’ qualcosa.

 

 

 http://www.hippolytebayard.com/

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