Poesie per tre giorni n. 3

10 gennaio 2015

Immagine 4147

Foto e testo: Gioia Perrone

Non voglio scrivere questa poesia
perchè tutto quello che pronuncio con lei diventa realtà, e così sono spacciata.
Eccole le piccole ragazze dell’inverno guasto,
una, quella che nonsente, esce di casa per rapinare tutti i negozi degli apparecchi acustici della città
prima che arrivi l’ultimo meteorite,
l’altra, quella che nonparla, è nell’acqua e i pesci le mordicchiano i piedi dell’anima.

Pace. Peace. Love. Pace.
Stai buona, bestiola
Pace. Peace.Love. Pace.

Tutto oggi, se invece che “oggi” dicessi “in me”
Tutto, anche questa luce è kalasnikov,
ma soprattutto questi segni, questi appunti che la sarta mi ha cucito in cima alla  testa,
un abito, un dress di costante paura
di scendere
o che tu scendi ed io resto qui a girare.

Ma come, come fate voi a non essere poeti,
a non avere d’istinto voglia di abbracciarvi gli uni con gli altri?
Pace. Peace.Love. Pace.
Tutto non mi salva, eccetto tu, unica persona.
Mi tieni salda come il ragazzino che tiene il filo del suo aquilone.
Che roba di immagine l’aquilone, di quella audace semplicità che fa meravigliare e che piace,
ma chissà cosa accade alla sua pelle chiara, la pelle dell’aquilone,
in quell’azzurro in alto,
in quello scarto indecifrabile seppur numerabile, che lo separa dal suo ragazzino.

Intanto è certo, lo tiene.

POESIE PER TRE GIORNI n.2

3 gennaio 2015

n.2

Foto e testo: Gioia Perrone

La neve in California dura poco.
L’amore, oppure la paura, oppure il nero nascosto nella sabbia
mi scrive una lettera mentre dormo, in sogno.
La poesia non è più un’attesa e forse non lo è mai stata
viene il giusto, quando deve e dura poco.
Sono spaventata soprattutto, se devo scegliere un sentimento
dalla velocità con cui il tempo cambia
dalla velocità delle cose lontane che si annacquano
dalla velocità psichedelica dei treni dal centro del cranio alla milza
e molte altre cose dentro, al viaggio,
che non si vedono.

Poesie per tre giorni n.1

31 dicembre 2014

Foto e testo: Gioia Perrone

Andiamo mano per la mano a volte, a volte no
teniamo le mani in tasca.
Girare con te è sabotare,
la nostra cifra è sabotare,
e per farlo come sappiamo fare ci inventiamo le migliori scuse.

Insegni a nostro figlio più il gioco delle parole inventate,
delle parole scambiate di posto,
che lo spartito pieno di musiche già scritte
e credo tu stia facendo un buon lavoro.
Quando sono esausta, quando voglio piangere per nevrosi
tu mi dici che “quel caratterino” siamo noi,
il sangue, le passioni, la genetica che si ripresenta
e questo dovrebbe farmi ridere, e infatti mi sento meglio.

Quando nostro figlio dorme parliamo a lungo
di come ha il viso, di come è bello,
come fossimo già in Paradiso,
ma non è possibile tranne che, tranne qualcosa nel volto che dorme
ci fa sospettare che invece si, che una genetica ritorna,
dell’Angelo, delle piume leggere, delle ali
e questo ci fa ridere,
e infatti ridiamo.

Poesia del 23 dicembre

24 dicembre 2014

(Ad Annarosa, a Luisa, e agli altri)

di Gioia Perrone

Vorrei essere tutte le vostre madri perdute.
Essere le loro voci, unica voce al vostro orecchio.

Conoscere a memoria la lingua dei morti
e delle memorie
dire la parola
che non avete dimenticato.

Vorrei cucire il taglio

in questa gola di voci
una ressa armoniosa
come in una voliera.

poesia del 5 dicembre

6 dicembre 2014

9_Ritratto di giovane donna, 1905 ca., Archivi Alinari

testo Gioia Perrone

Attraversando strati di atmosfera mi sono smagnetizzata,
accordata al mutevole assoluto.
E senza appigli, se non nel luminoso imbambolamento della casa,
il tuo volto e le mani morbide come sfiato di balena, bocca-antro-tenerezza.
Mi sono fatta grande, trasformata, guagliona sfuggita tra gli sfollati,

spugna, lastra e cos’altro, ah, impermeabile alla bruttura, ti ho detto la sera sedute al tavolino quadrato del Bar Palmieri. E’ l’assioma che dura il tempo di una piccola oliva salata, è la pura verità che non conta niente.

Ogni cosa arriva, la voce esatta di una vita, oppure la sintesi di molte, così mi sembra, ha una sembianza, ma non è mai nitida, smemorata apprendo registro una cadenza e mai e mai la formula.
I morti se ci sono sono in questo dubbio, il dubbio che la voce arrivi da una pozza confusa sotto i nostri maglioni o se sgomita attraverso ogni fessura di muro nell’atroce lotta della trasmissione dei segnali.

I pin di tutti i secoli, come molluschi evanescenti roteano a rallenty nel liquido scuro

E io non ho una rotta nemmeno in questa poesia
sdefinita, bianca, torno nell’insenatura, nell’incrinatura giovane, nella fodera
strappata, della partenza.
Una squama con nome resta, a difendere la soglia, a incitarmi a sorridere a questa certezza dolce senza un paese, alla guida sulle curve e sole e scogliera, all’antica nausea bloccata dell’infanzia che, fatta la circumnavigazione, come da promessa, ritorna.

Poesia dell’occhio

11 novembre 2014

Immagine e testo: Gioia Perrone

Dove va l’occhio quando è dietro la sua palpebra
mi sembra un luogo di bellezza e spietatezza,
un indietro in cui poter smettere d’essere occhio
ritornare uovo, sfera, ruota, sogno del Sole.
Indietro a luogo prediletto o condannato o vano,
nel ghetto del sonno, nel fatto conclamato
che qualcosa vede l’occhio senza che noi vediamo.

Poesia dell’escavatrice

11 aprile 2014

 

escavatrice

 

 

 

 

 

Testo: Gioia Perrone

 

 

Stamane nella strada c’erano gli uomini arancioni

tute da lavoro facce dure
nasi grossi occhi celesti.

Escavatrici asfalto primavera:
io dentro l’auto sono niente di fronte a loro
io fuori l’auto sono niente di fronte a loro
eppure sono come loro
gli occhi da marroni diventano celesti
sento il muscolo della faccia tirarsi colpito dal sole
e qualche palpito nitido, limpido
riguarda un loro caro.

L’escavatrice scava tutta la mattina dal cielo terso.
L’escavatrice-asfalto-primavera
dentro la voce dei secoli.

Chiudo il cancello grigio e spazzo qualche cartaccia appiccicata al terreno,
cerco di calmare le voci che ho udito.

 

 

 

POESIA DEL SILENZIO

19 febbraio 2014

innamorati a milano gioia perroneFoto e testo: Gioia Perrone

Qualcosa è morto. E qui la morte non serve. A cosa serve la morte? Serve uno specchio. Si, corro a guardarmi allo specchio. Qualcosa è morto.
.

Serve un telefono. Ora chiamo. Ma chi cristo chiamo. Serve…un telefono.Una telefonata lunga, un telefono di casa con il filo lungo. Serve una notte,questa non può essere. Questa è falsa.

.

Serve un contegno, un silenzio. E uno specchio. Un tic dell’occhio, un amore primo.

.

Serve un silenzio, prima che tutto ricominci. Prima di ricominciare a invecchiare.

Poesia della spugna

3 gennaio 2014

David InfantePh: David Infante
Testo: Gioia Perrone

 

La pelle megafono copre col grido, fa un baccello e tiene la spugna sacrale, la spugna abissale col suo esasperato lavoro di fare col caos una musica udibile, e si inzuppa e sputa, e si contorce e si stira, attonita brilla credendosi un cristallo, è incredibilmente congegnata a difendere. Io che scrivo, io che arrivo, io che so spiegarmi senza sforzo e mi affloscio come una dolcezza dietro alle vostre tempie, sono la pelle di lei, che fa baccello e la tiene, sono la carta leggera che se la porta il vento, sono il nome di quelli che un giorno avete cercato, o che sono arrivati dentro a una mano come una pulce che stava dormendo.

Poesia del calamaro in sogno

15 dicembre 2013

calamaro

Giant squid 1875

Testo: Gioia Perrone

Prendere a cuore un Calamaro parlante è la missione della notte.
Una notte con carrozze e baionette e una torre.
Il Calamaro lo avvolgo in una coperta mentre scappo e scappo
il volto non lo vedo di chi apre la porta di una cantina buia e mi spara un colpo.
Muoio per finta, poi scappo ancora.
Alla fine della notte il Calamaro è acciaccato
un po’ smaciullato
un po’ addormentato
un po’ infreddolito
con un occhio soltanto
vuol dirmi le parole dell’addio.

Quando alla fine muore io piango molto.