Foto e testo: Gioia Perrone
Non voglio scrivere questa poesia
perchè tutto quello che pronuncio con lei diventa realtà, e così sono spacciata.
Eccole le piccole ragazze dell’inverno guasto,
una, quella che nonsente, esce di casa per rapinare tutti i negozi degli apparecchi acustici della città
prima che arrivi l’ultimo meteorite,
l’altra, quella che nonparla, è nell’acqua e i pesci le mordicchiano i piedi dell’anima.
Pace. Peace. Love. Pace.
Stai buona, bestiola
Pace. Peace.Love. Pace.
Tutto oggi, se invece che “oggi” dicessi “in me”
Tutto, anche questa luce è kalasnikov,
ma soprattutto questi segni, questi appunti che la sarta mi ha cucito in cima alla testa,
un abito, un dress di costante paura
di scendere
o che tu scendi ed io resto qui a girare.
Ma come, come fate voi a non essere poeti,
a non avere d’istinto voglia di abbracciarvi gli uni con gli altri?
Pace. Peace.Love. Pace.
Tutto non mi salva, eccetto tu, unica persona.
Mi tieni salda come il ragazzino che tiene il filo del suo aquilone.
Che roba di immagine l’aquilone, di quella audace semplicità che fa meravigliare e che piace,
ma chissà cosa accade alla sua pelle chiara, la pelle dell’aquilone,
in quell’azzurro in alto,
in quello scarto indecifrabile seppur numerabile, che lo separa dal suo ragazzino.
Intanto è certo, lo tiene.