DANK diario1

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Testo e immagini: Gioia Perrone

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L’omino del semaforo era ancora verde, ma io ero ancora un poco lontana dalle strisce pedonali. Quando sono arrivata sulle strisce l’omino era giallo e il giallo dura poco, poi dopo si sa, c’è anche una percentuale che qualcuno ti ficchi sotto . Così ho fatto quattro passi di balzo, veloci, conquistando in fretta l’altra sponda. Dietro me una signora sulla sessantina, affrettata anche lei ma molto più lenta, più incerta. Quando anche lei ha attraversato completamente l’omino era diventato rosso da un poco e qualche macchina accennava a passare. Uno giovane è in questo stato delle cose, può balzare veloce e superare gli argini, può giocare col tempo con le sole prorprie gambe, puo scartabellare le regole e cambiare le carte all’ultimo, può tirare la corda con una espressione goliarda, tagliare la corda fottendosene dell’onore, può arginare o distruggere il percorso che ingaggia verso la sua meta, può liberamente e con disinvoltura non avere una meta. Uno che è vecchio le gambe sono lente, la meta ha bisogno di pensieri precisi, di calcoli minuti, il tempo ha le sue regole, i semafori sono pali irremovibili, sono verdi, sono gialli, sono fottutamente rossi.

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Alla villa comunale fa freddo, in macchina quando sono arrivata c’era un certo sole tra i rami che sporgono dai cancelli, che da agli occhi quel verde, quel verde ramarro che brilla, quell’apparizione che fa delle cose quello che le cose sono, poi alla fine, apparizioni luminose. Insomma ho parcheggiato e ho fatto alcuni giri. Poi prima di rientrare ho messo nella macchinetta del parcheggio altre monete, volevo sedermi su una di quelle panchine, forse attratta dal quel verde lì, di prima, non avevo da fare niente dentro la Villa , però quel posto lì mi è sempre piaciuto. In quel posto ho bei ricordi. A gran parte della gente sembra strano che uno metta delle monete in più solo per starsene seduto a fare niente. Tant’è non lo dite in giro, è così. Ho chiesto una penna alla signora del bar, nella villa, e mi sono andata a sedere alla panchina lì vicino, dove ci sono pure le giostre per i bambini. Allora niente, ho preso l’agenda, mi sono guardata intorno e ho scritto quello che ho visto, perchè del verde niente, era sparito, si era annuvolato e tutto si è trasformato in una patina grigiastra, ma tenue, che faceva sentire ancora più freddo. Ho arrotolato meglio la sciarpa, e ho scritto. Si vedono gruppetti di uomini vestiti alla meno peggio, con tute e giubotti scuri, i lineamenti marcati, l’andamento aggressivo, ma anche un po’ desolato. Alle giostre più in là c’è un padre giovane, con gli occhiali da sole

e il berretto , che spinge sull’altalena il figlioletto, ma senza guardarlo. Davanti a me da lontano mi pare di vedere qualcuno che conosco, non voglio riconoscerlo, non voglio pensare di poter salutare qualcuno, così chiudo l’agenda, mi infilo nel bar e ridò la penna alla signora al bancone. Esco dal cancello della Villa e mi dirigo verso la mia macchina.

dicembre gennaio2012 1434

dicembre gennaio2012 1443

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Avevo detto che sarei ritornata in quel posto. Poco dopo il cimitero del paese, dove c’è quell’enorme campo che a giugno è strapieno di grano e mi piace molto. Due anni fa quando aspettavo Federico, per fare una camminata ,attraversai tutta la strada che lo costeggia e che arriva al cimitero, poi non contenta tutta la strada fin dentro al cimitero, con quella pancia così grande e tonda, ero stremata a un certo punto, avevo esagerato a camminare tanto, e stetti a sedere su un aiuola, tra lapidi e cipressi e silenzio. Insomma vicino quel campo alle porte del paese c’è questo quartiere, tutto uguale agli altri, strade a scacchiera ovunque, case dai colori smorti. Alla fine della strada che costeggia il campo avevo scoperto un piccolo parchetto, non proprio un parchetto, ma un giardinetto con dei pini, tutto scardinato e pieno di cemento anche, e anche di terra e foglie gialle e bagnate. Tutto intorno case con le finestre serrate e giostrine per bambini, ma in sfacelo, altalene divelte e mezze distrutte, scivoli e dondolini arrugginiti e coperti di scritte, le scritte ci sono ovunque, il muro di cinta della casa attaccata al giardinetto è tutto un arazzo di scritture. L’altalena per bambini più grandi è una specie di finestra sul grande campo, e mi è piaciuto guardarla ecco perchè sono tornata. Ci sono macerie la cui attrattiva supera lo sdegno e la domanda che serpeggia sotto le foglie del parchetto, tra i piloni della panchina divelta, la domanda che batte e che anzi è scritta tra le scritte di quel muro, solo non si riesce più a leggere tanti sono i graffiti, i segni di è passato, la domanda che fa: dove sono i bambini del parchetto? Non ci sono qui bambini a cui il parchetto serva? Ecco la domanda si bagna sotto queste foglie, io ho la mia macchina fotografica in mano, sono tornata perchè questo posto si trasformi davvero in una oscurità, in una specie di mistero, perchè è questo che succede se fotografi un posto. Sono tornata ecco tutto. E me ne sono andata.

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